A Castelnuovo dell'Abate, nei pressi di Montalcino, una tra le più belle chiese romaniche d'Italia
La fondazione dell'Abbazia ha il sapore della leggenda. Essa narra che Carlo Magno, attorno all'anno 800, di ritorno a Roma, accampò i suoi uomini, colpiti dalla peste, in prossimità dello Starcia. Nottetempo all'Imperatore apparve in sogno un angelo che lo consigliò di raccogliere una particolare erba, disseccarla e poi farne un infuso con del vino (già il Brunello?) facendola bere ai soldati.
Così si fece e l'esercito guarì. Carlo Magno, il cui nome rimase legato a quello dell'erba detta "Carolina", in ringraziamento per il miracolo avrebbe fatto erigere l'Abbazia donando le ossa dei Santi martiri Antimo e Sebastiano.
L'Abbazia, sorta come ex voto imperiale, venne protetta e arricchita grazie ai privilegi concessi dai discendenti di Carlo Magno; all'abate di Sant'Antimo era attribuito infatti anche l'importante titolo di Conte Palatino. L'abbazia verso il Mille era già un potentato territoriale e i suoi possedimenti, sparsi fra Lucca e Orbetello, contavano nove monasteri, quarantasei chiese e diciassette fra castelli, mulini e poderi.
Nel 1118, grazie ad una sontuosa donazione del conte Bernardo degli Ardengheschi, i monaci ebbero modo di riedificare la loro chiesa in forma più grandiosa ed elegante.
La nuova costruzione sorse ispirandosi ai modelli francesi, con la navata centrale slanciata e luminosa, dotata di tribune, arricchita di sculture dei fantasiosi maestri francesi. Sul lato rivolto a mezzogiorno si estendeva il resto del vasto complesso, con il chiostro, la sala capitolare, lo scriptorium e gli altri ambienti per la vita monastica.
Una tale abbazia non poteva sfuggire alle ambizioni di una Siena comunale in piena espansione territoriale.
Così si fece e l'esercito guarì. Carlo Magno, il cui nome rimase legato a quello dell'erba detta "Carolina", in ringraziamento per il miracolo avrebbe fatto erigere l'Abbazia donando le ossa dei Santi martiri Antimo e Sebastiano.
L'Abbazia, sorta come ex voto imperiale, venne protetta e arricchita grazie ai privilegi concessi dai discendenti di Carlo Magno; all'abate di Sant'Antimo era attribuito infatti anche l'importante titolo di Conte Palatino. L'abbazia verso il Mille era già un potentato territoriale e i suoi possedimenti, sparsi fra Lucca e Orbetello, contavano nove monasteri, quarantasei chiese e diciassette fra castelli, mulini e poderi.
Nel 1118, grazie ad una sontuosa donazione del conte Bernardo degli Ardengheschi, i monaci ebbero modo di riedificare la loro chiesa in forma più grandiosa ed elegante.
La nuova costruzione sorse ispirandosi ai modelli francesi, con la navata centrale slanciata e luminosa, dotata di tribune, arricchita di sculture dei fantasiosi maestri francesi. Sul lato rivolto a mezzogiorno si estendeva il resto del vasto complesso, con il chiostro, la sala capitolare, lo scriptorium e gli altri ambienti per la vita monastica.
Una tale abbazia non poteva sfuggire alle ambizioni di una Siena comunale in piena espansione territoriale.
Asceso al soglio pontificio il senese Pio II decide, nel 1462, la soppressione dell'Abbazia che cadde sempre più nell'abbandono sia materiale che spirituale.
Oggi, dopo 530 anni di silenzio, il filo spezzato del tempo è finalmente riannodato. Ancora adesso nell'abbazia risuonano i passi e le orazioni dei pellegrini, il canto gregoriano dei monaci, lo strepito dei carri e dei cavalli.
Sembra che qui il tempo si sia fermato anche se adesso i turisti hanno rimpiazzato i pellegrini.
Oggi, dopo 530 anni di silenzio, il filo spezzato del tempo è finalmente riannodato. Ancora adesso nell'abbazia risuonano i passi e le orazioni dei pellegrini, il canto gregoriano dei monaci, lo strepito dei carri e dei cavalli.
Sembra che qui il tempo si sia fermato anche se adesso i turisti hanno rimpiazzato i pellegrini.